3. Il comportamento rituale-religioso delle donne nell'Europa meridionale

 

Il comportamento rituale-religioso delle donne riveste una particolare importanza nell'Europa meridionale, vale a dire nei paesi in cui sono diffuse le religioni cattolica e ortodossa. Infatti, gli studiosi concordano sul fatto che nell'Europa meridionale "le donne sono più religiose degli uomini" (cfr. Schneider 1971: 20) o, per meglio dire, che esse sono "più attive degli uomini nelle pratiche religiose" (Pitt-Rivers 1992: 227): "gli uomini sono scettici, mentre le donne sostengono la religiosità", come afferma Brandes in particolare riferimento alla società andalusa (Brandes 1980: 182).

Forme elementari di comportamento religioso, come la regolare partecipazione alla messa e ai sacramenti della confessione e della comunione, sono stati tradizionalmente più comuni tra le donne che tra gli uomini. Tali comportamenti sono stati visti generalmente come una componente essenziale della rispettabilità sociale, dal momento che essi implicano un'accettazione degli ideali di comportamento femminili propri delle chiese cattolica e ortodossa (quelli, ad esempio, della verginità prima del matrimonio, del sesso inteso fondamentalmente come mezzo per la riproduzione, ecc.). Tuttavia, è importante ricordare che le pratiche rituali-religiose delle donne dell'Europa meridionale non si sono limitate a queste forme elementari di comportamento religioso. Al contrario, la religione popolare ha contemplato spesso altre forme di devozione che non sempre corrispondevano agli orientamenti della chiesa ufficiale, ma che ciononostante erano percepite dalla popolazione come espressioni genuine di fede religiosa. Di conseguenza, è nostro dovere esaminare attentamente queste pratiche, in vista dell'obiettivo di scoprire qualcosa di più sul ruolo della religione nella vita delle donne. La religione popolare "è orientata soprattutto verso la pratica, verso il fare piuttosto che semplicemente verso il credere; le attività religiose, sia all'interno che all'esterno dei confini (fisici o d'influenza) della chiesa, di fatto costituiscono la religione, anzichè limitarsi a 'simboleggiarla' o a 'esprimerla'" (Dubisch 1995: 60). Prendendo in considerazione tali pratiche, parlerò generalmente al passato per il fatto che, nonostante alcune di esse siano vive ancora oggi, la loro rilevanza nella vita delle donne è generalmente diminuita negli ultimi decenni. Tuttavia, il ruolo della religione è stato talmente importante fino a tempi recenti che non è possibile non riconoscere il suo contributo nel costituire e tramandare idee precise della femminilità.

La vita rituale-religiosa offriva alle donne dell'Europa meridionale l'opportunità di esprimere se stesse: i riti consentivano loro di affrancarsi dalla loro condizione di "mutismo" in un contesto pubblico, rendendo in tal modo meno netta la tradizionale distinzione tra la sfera d'azione pubblica di dominio maschile e sfera d'azione privata riservata alle donne. Il campo delle pratiche rituali-religiose era una delle poche aree d'azione cui le donne potevano prendere parte attivamente e in cui potevano esprimere le loro abilità espressive e creative. Ciò era particolarmente vero in quei contesti in cui la posizione sociale delle donne era del tutto marginale (cfr. Rosaldo e Lamphere 1974: 9), poichè è ben noto che i gruppi che si trovano in una posizione marginale nella loro società tendono a ricorrere a mezzi di espressione simbolici, come la musica, il rito e il mito.

Il mio obiettivo in questo studio è quello di dimostrare che le donne dell'Europa meridionale hanno saputo trarre vantaggio dalla sfera pubblica dell'azione religiosa per svolgere un particolare tipo di lavoro, che chiamerò qui il "lavoro del dolore". L'idea di fondo è che, all'interno della sfera di eventi rituali-religiosi, le donne avevano l'opportunità e la capacità di portare fuori dalla sfera privata i dolori psicologici e le ansie delle loro famiglie, esprimendoli ed elaborandoli pubblicamente in forme di comportamento socialmente accettabili. In tal modo esse creavano per se stesse un ruolo specifico e costruivano un particolare modello di femminilità. Il termine "lavoro del dolore", che ho scelto per identificare questo tipo di attività, è analogo all'espressione "lavoro della famiglia" (kin work), che è stato adottato da Micaela Di Leonardo per descrivere l'attività di sostegno delle reti di rapporti familiari svolta dalle donne americane (1984).


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