1. Premessa: genere, onore e vergogna

Verso la fine degli anni cinquanta un gruppo di antropologi, sotto la guida di J. G. Peristiany, diede inizio allo studio del Mediterraneo come territorio caratterizzato da aspetti comuni che ne garantivano l'omogeneità culturale. Una delle principali pubblicazioni che contribuirono a fondare l'antropologia del Mediterraneo fu l'antologia Honour and Shame: The Values of Mediterranean Society, curata dello stesso Peristiany (1966). Anche se Peristiany e Pitt-Rivers hanno recentemente affermato di non aver mai inteso "definire il Mediterraneo come un' "area culturale" (Peristiany e Pitt-Rivers 1992: 6), le loro precedenti affermazioni sulla "continuità e persistenza di modi di pensare mediterranei" (Peristiany 1966: 9) sono stati di fatto interpretati dagli studiosi come un implicito riconoscimento dell'esistenza di una tale realtà. La cosiddetta sindrome dell' "onore e vergogna" fu uno dei più importanti "modi di pensare" che Peristiany e i suoi colleghi riconobbero nel 1966 come pan-mediterraneo: essi sostenevano che "esiste un'opposizione binaria, legata al sesso, secondo cui l'onore è associato agli uomini e la vergogna alle donne" e secondo cui sia l'onore che la vergogna "sono inestricabilmente uniti, collegati l'un l'altro da legami sia cognitivi che affettivi" (Brandes 1987: 122). Da allora in poi questa "sindrome" è stata costantemente associata agli studi del Mediterraneo.

Si potrebbe obiettare che gli articoli inclusi nel volume di Peristiany sono forse meno concordi di quanto il curatore afferma. Inoltre, essi prendono in considerazione società diverse, scelte tra le più marginali tra i paesi che si affacciano sul Mediterraneo in modo da "tribalizzare" questo territorio. Infine, essi esemplificano le tipiche limitazioni dell'antropologia del Mediterraneo, vale a dire, la carenza "nel fare confronti, nell'usare la storia, nello svolgere ricerche in contesti urbani, nel mettere in rapporto la parte con il tutto" (Boissevain 1979: 81-82). Nonostante queste difficoltà, l'idea di una sindrome pan-mediterranea dell' "onore e vergogna" divenne presto un luogo comune dell'antropologia mediterraneista. Come Stanley Brandes ha scritto una decina di anni fa: "Dobbiamo fare attenzione a non vedere ovunque onore e vergogna come tali, solo perchè ci è stato insegnato che essi sono per definizione mediterranei. Finora gli studiosi si sono sentiti obbligati a scoprire manifestazioni di questi due fratelli gemelli ovunque abbiano fatto ricerche nel Levante, in Nord-Africa e nell'Europa meridionale" (Brandes 1987: 123). Ancora oggi non esiste quasi studio antropologico su qualche società mediterranea che non menzioni la sindrome dell' "onore e vergogna", talvolta solo come riferimento alla letteratura precedente (ad esempio, Abu-Lughod 1993), talvolta per fornirle supporto (ad esempio, Gilmore 1987), o, più frequentemente, per criticarla (ad esempio, Dubisch 1995). Non intendo qui dilungarmi sulla sindrome dell' "onore e vergogna" in sè, un argomento che è già stato trattato da diversi studiosi che hanno richiamato la nostra attenzione sui seguenti punti: i due concetti di onore maschile e vergogna femminile non sono concepiti nello stesso modo in tutta l'area del Mediterraneo (ad esempio, Marcus 1987, Herzfeld 1987); mentre essi non compaiono in tutti i paesi di quest'area, possono invece trovarsi altrove (ad esempio, Pina-Cabral 1989, Lever 1986); soprattutto, questi valori sembrano attualmente essere piuttosto obsoleti in molte regioni mediterranee (ad esempio, Davis 1987). A sostegno di queste considerazioni, un'indagine pubblicata nel 1965 (cioè nel periodo in cui comparve anche il volume di Peristiany) rivela che a quell'epoca le opinioni degli uomini italiani in materia di verginità, comportamento sessuale prima e dopo il matrimonio, adulterio, divorzio, ecc., erano in contrasto fra loro nelle diverse regioni italiani ed erano ben lontane dal confermare l'esistenza di una sindrome unitaria dell' "onore e vergogna" (Parca 1965). Sarebbe ancor più problematico affermare oggi che esistono "modi di pensare" che riguardano il genere maschile e femminile, per non dire della sindrome dell' "onore e vergogna", comuni a tutti i paesi che si affacciano sul Mediterraneo.

Nonostante i suoi limiti, la prima letteratura sull' "onore e vergogna" mediterranei, quando la si confronta con gran parte della letteratura antropologica sui paesi non-mediterranei degli anni sessanta, rappresenta un primo, interessante esempio di ricerca su valori fondati sul genere. Dal momento che il valore "maschile" dell'onore era ritenuto inestricabilmente legato al valore "femminile" della vergogna, gli autori di quel periodo dovevano prendere in considerazione sia uomini che donne, il loro ruolo nella società e le loro relazioni reciproche. Ma come venivano rappresentate le donne dai pionieri dell'antropologia mediterranea? Lungo tutto il Mediterraneo, le donne venivano rappresentate come persone silenziose, passive e marginali, rinchiuse nelle loro case, coperte dalla testa ai piedi per la vergogna del loro corpo, e apparentemente impegnate nella sola attività di mostrare tacitamente la loro modestia.

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Una vecchia foto di donne sarde

Tale immagine divenne presto uno stereotipo che impedì un esame più attento dei ruoli delle donne nelle società mediterranee. Inoltre, ciò che è ancora più importante, essa fece sì che molti studiosi non si accorgessere che, mentre una parte della letteratura antropologica continuava a perpetuare il ritratto della "donna mediterranea", casta, priva di parola e rinchiusa in casa, la posizione delle donne andava velocemente cambiando in gran parte dei paesi, come ha evidenziato, ad esempio, John Davis (Davis 1987: 22-34). Quando Gilmore nel 1982 scrisse che le donne vengono rappresentate come "in qualche modo estranee o isolate dalla 'vita reale' della comunità", egli aggiunse che con tali descrizioni probabilmente "si fa una caricatura del 50 per cento del mondo mediterraneo" (Gilmore 1982: 195). Anche Jane Cowan ha di recente notato, in riferimento ad una città della Macedonia greca, che "la selettiva insistenza [degli studiosi] sul fatto che le ragazze sono confinate nelle loro case è particolarmente sorprendente se si considera che da molte generazioni le ragazze di Sohos […] prendono parte alle attività agricole e al lavoro salariato fuori di casa" (Cowan 1990: 117). La partecipazione delle donne ad attività lavorative fuori di casa era infatti comune nell'Europa meridionale e lo conferma anche l'indagine sui repertori musicali delle donne: i repertori di canti eseguiti da donne (a volte assieme agli uomini) durante il lavoro nei campi, ad esempio, non sono rari nei paesi euro-mediterranei.

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Una donna e un uomo cantano insieme canti "a vatoccu e a mete", un repertorio eseguito di solito durante il raccolto (Marche)

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Donne che cantano a due voci "alla nocchiarola", un'esecuzione tradizionalmente associata alla raccolta delle olive (Vasanello - Lazio)

In sintesi, l'idea di passività femminile e l'immagine di donne rinchiuse in casa sono forse state comuni, ma non hanno sempre corrisposto alla realtà. Sarebbe probabilmente più corretto ritenere che il silenzio generale su ciò che le donne dicono e fanno sia piuttosto un segno dello scarso peso sociale assegnato alle loro attività, a confronto con quelle degli uomini (cfr. Méndez 1988: 187). Lo stesso si può dire sul ruolo delle donne nelle attività musicali, che sono state spesso sottovalutate come espressione dell'identità e dei valori femminili. Le donne mediterranee, com'è noto grazie alla letteratura e alle registrazioni etnomusicologiche, praticano diverse forme di attività performative: cantano, danzano, prendono parte ad eventi rituali e religiosi che sono per loro importanti mezzi di espressione. Si può affermare che queste forme simboliche di comunicazione fossero ancora più importanti in passato, quando le donne godevano di limitata libertà di espressione nella vita quotidiana. Ciononostante, esse non hanno ricevuto la stessa attenzione riservata ai repertori degli uomini mediterranei, considerati socialmente più rappresentativi, anche se è importante ricordare che l'indagine dell'attività musicale maschile in rapporto a questioni di "genere" è anch'essa solo agl'inizi. Infatti, uno dei principali obiettivi del convegno su "Music as Representation of Gender in Mediterranean Cultures" (Venezia, 11-13 Luglio 1998), in cui questo articolo è stato presentato come relazione d'apertura, era quello di offrire l'opportunità di esaminare in che misura certe pratiche musicali nei paesi mediterranei, oggi come in passato, abbiano avuto un ruolo nel creare, rappresentare e perpetuare taluni specifici ruoli di genere.


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