1. Introduzione

Se consideriamo la condizione femminile in Marocco fino a tempi molto recenti secondo i criteri socio-antropologici di norma/margine e inclusione/esclusione (Balandier 1986, 1988; Bourdieu 1991), possiamo evidenziare la posizione di centralità della donna nella famiglia, a cui corrisponde una posizione di marginalità nella società. Anche ad un'osservazione superficiale lo spazio pubblico appare condizionato dalla predominanza maschile, dal momento che i canoni tradizionali assegnano alla donna una condizione di semi-reclusione (1). Questa forma di repressione si appoggia su un'applicazione scritturalista della legge coranica che, se nel VII secolo costituiva comunque un progresso per la condizione della donna - cominciando con il riconoscerne i diritti legali, seppur mantenendola subordinata all'uomo - oggi appare come un dogma fondamentalmente a-storico.

Se osserviamo ad esempio la posizione della donna nelle pratiche pubbliche della vita religiosa, constatiamo che essa è profondamente marcata da questa forma di emarginazione (cfr. Langlois 1999 e Seroussi 1999, a proposito della situazione parallela della donna nel mondo ebraico). Susan Schaefer-Davis (1983) osserva puntualmente che nella religione come pratica sociale la partecipazione collettiva tende ad essere connotata per genere, con il dominio dell'uomo e l'esclusione della donna. Di conseguenza, la vita religiosa femminile è basata sul vissuto e sull'esperienza personale, più che sulla frequentazione dei luoghi di culto, come sulla valorizzazione della sensibilità e dell'emotività - elementi centrali nella pratica del tasawwuf (sufismo) - più che sulla conoscenza, sull'interpretazione e sull'applicazione della chari`a (legge islamica), esclusivo appannaggio degli oulèma (dottori della legge).

Per queste ragioni le donne marocchine sono più coinvolte nelle forme eterodosse della vita religiosa: il loro contributo alla vita delle confraternite popolari del tasawwuf è centrale e la presenza femminile prevale largamente su quella maschile, soprattutto nelle riunioni consacrate alla hadra - un rituale in cui la musica e la danza sono finalizzate al raggiungimento dell'estasi, considerata come forma di culto supererogatorio e come pratica catartico-terapeutica, individuale e collettiva.

Al di fuori del contesto religioso, le rare occasioni concesse alle donne per condividere esperienze collettive sono la celebrazione della festa dell'henna, che ha luogo alla vigilia delle nozze ed è festeggiata dalla sposa, dalle donne della sua famiglia e dalle sue amiche, e la frequentazione dello spazio pubblico dell'hammam, il tipico bagno di vapore, momento di riscoperta comunitaria del corpo, che rafforza il sentimento di solidarietà tra donne di diverse classi d'età e (in misura minore) di diversa estrazione sociale.

Al modo di vita legato alle consuetudini (thorat), saldamente radicato nel tessuto sociale, si contrappone il processo di modernizzazione (asra) legato alla specificità della posizione geopolitica del Marocco contemporaneo. Questa antinomia è rappresentata efficacemente dal panorama urbano (Cattedra 1996), su cui si stagliano minareti e parabole satellitari, emblemi delle forze contrastanti su cui si basa l'equilibrio dinamico che consente lo sviluppo del paese. Nel Marocco odierno, che guarda verso le opposte sponde del Mediterraneo e dell'Atlantico con un occhio alla tradizione e un altro al futuro, le giovani donne (la maggioranza della popolazione) escono sempre più allo scoperto. Ragazze in jeans e minigonna circolano tanto nei boulevard delle grandi città che nei piccoli centri turistici, mentre donne in auto o in motorino, con o senza hijab (il velo islamico) accompagnano i loro figli a scuola: esse non vengono minimamente censurate dalle autorità religiose, come avviene in Medio Oriente, né sono prese di mira dagli integralisti religiosi (maschi), come avviene in altri paesi dell'Africa del nord.

Il peculiare femminismo che si manifesta oggi nel mondo maghrebino mira ad una maggiore occupazione degli spazi della vita sociale e ad evidenziare il ruolo della donna come educatrice, proponendo modelli educativi più aperti e tolleranti, basati sul dialogo e non sulla repressione, in modo da promuovere la formazione di una nuova società in cui i figli maschi, divenuti adulti, siano in grado di vivere con le loro sorelle, le loro mogli e le loro figlie, comprendendo la loro specificità e le loro esigenze di esseri umani (Daoud 1994, El Khayat 1993, Mernissi 1987).

In questo panorama, che vede la presa di coscienza della donna come attore sociale e il suo progressivo affermarsi nello spazio pubblico, la mia esperienza con le B'net Houariyat documenta un caso emblematico di rapida e drastica trasformazione del ruolo della donna musicista in Marocco. La storia delle B'net Houariyat ripercorre nello spazio di pochi anni il cammino delle donne marocchine dalla cultura locale, chiusa nei suoi confini geografici e simbolici, fino all'inserimento nei processi di formazione della società multietnica contemporanea. Questa trasformazione è accompagnata dal mutamento del repertorio musicale del gruppo, che in origine appartiene alla cultura agro-pastorale della badia, il nomadismo beduino, poi si integra nella cultura popolare cha`abi sviluppatasi in ambiente urbano e infine confluisce in quel fenomeno che viene ambiguamente denominato World Music.


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