Esercitare un'arte

Il Raï delle chikhat è un canto eseguito per le libagioni sotto le stelle in calde notti estive nella campagna intorno ad Orano. Appoggiata al muro di recinzione di una fattoria dove si consuma una notte di nozze, la cantante, accompagnata dai suoi musicisti e dal suo "annunciatore", tortura il microfono con la sua voce "jazzistica". Il generatore emette un ronzio di sottofondo, le lampadine brillano e la polvere da sparo esplode in cascate di scintille nel cielo. Gli uomini della famiglia e del vicinato e gli amici, giovani ed anziani, in auto, motocicletta, e trattore, arrivano e si sdraiano sulla terra ancora tiepida, sotto la volta del cielo, lasciandosi scorrere nelle vene l'alcool, i lamenti, l'amore, il dolore, e la nostalgia. Una bottiglia circola tra i presenti, piena del succo della terra bagnata dal loro sudore; circolano parole dense di pensieri accorati sulle loro vite tormentate. Si fanno dediche: amichevoli, comiche, aggressive, allusive, che confermano e ricostituiscono alleanze. Passano anche le banconote che retribuiscono le canzoni, rilanciano proposte e materializzano la prosperità del posto, differenziano e poi rifondono individuo e gruppo.


L'ostentata richiesta di denaro: un assistente appunta una banconota sulla chikha


L' "annunciatore" detto berrah proclama la dedica richiesta dall'assistente
che ha appena appuntato una banconota sulla chikha


Il "rosso" circola fra gli ascoltatori
della chikha (Sfisel, 1987)

Il lamento è così opera di complicità, di rituale intimo: ciascuna ghrama rappresenta una specie di famiglia accogliente per la cantante, che riversa il proprio Raï cullando quello di altri.

La nonchalance passiva delle assemblee di bevitori lascia spazio, nelle adunanze femminili animate dalle meddahat, alla frenesia: le donne sono inebriate dalla danza, stimolate da tè e caffè, e si agitano al ritmo delle tre percussioni dell'orchestra (gellal, obaya, e ar).

La penombra cosmica fa posto al luccichio dei tessuti e dei gioielli nello spazio coperto e ben delineato in cui ci si muove.


Il mahdar di un matrimonio animato dalle meddahat (Orano, 1988)

Ma la cantante porta con sè, nel cuore stesso del più femminile tra riti, una traccia di mascolinità. Ciò è in parte dovuto al fatto che tutti sono al corrente del fatto che, quando essa lavora, frequenta degli uomini. Da un punto di vista più simbolicoe più profondo questo fatto si basa però sul carattere androgino della sua figura.

Una chikha della nouvelle vague, Chaba Zahwanya:
Chaba Zahwanya, Shabelbaroud (Gente della polvere da sparo) (wav file: 224 kb)

Qacimo, una voce androgina:
Qacimo (alias Biytekdha Bakqacem da bambina), Milouda (nome) (wav file: 237 kb) 

Come si è visto, la chikha non è più in possesso del suo patronimico, perciò come donna non appartiene più simbolicamente al gruppo di discendenza patrilineare, a cui dovrebbe normalmente rendere conto delle proprie azioni e dei propri gesti. Come indicato in precedenza, la si conosce col suo nome d'arte, che deriva spesso da un luogo d'adozione o da un soprannome. La sua traiettoria di vita è quasi sempre contrassegnata da un episodio in cui si ritrova "donna senza uomo" e si sposta perciò come farebbe un uomo. Il suo idioma spaziale è quello di un uomo. La chikha, come gli uomini, fuma e beve alcolici, e può per esempio fischiare con le dita per richiamare l'attenzione di qualsiasi uomo. La chikha (e tale è anche il caso delle prostitute, visto che l'immaginazione collettiva confonde in genere cantante e prostituta, o perlomeno cantante e "donna emancipata") coltiva un comportamento fisico che è proibito dall'educazione all'uso del corpo delle ragazze, e che, in linea di principio, è appannaggio maschile. Le sue braccia si allontanano invece dal corpo con facilità, le gambe vengono tranquillamente disgiunte, il petto è proteso e cammina a grandi passi. A Rimitti piace fare la parodia del saluto militare, nel modo più maschile possibile, durante le sue prestazioni.

Chikha Rimitti (al centro con il vestito tradizionale nero adorno di lustrini) insieme alla sua ballerina, ai due flautisti, ed ai due percussionisti (teatro Déjazet, 1988)

Tali gesti e tali posizioni non solo sono non-femminili, ma mimano in modo enfatico la mascolinità e la supremazia maschile. E' un'appropriazione quasi ironica del linguaggio corporeo mediante il quale gli uomini esprimono sovente la propria superiorità di genere, poiché il codice prossemico maschile consiste nell'occupare uno spazio maggiore rispetto alle donne, nel non dissimulare un corpo che normalmente si occulta, ma piuttosto nell'ostentare un corpo che si impone.

Alcune chikhat arrivano al punto di trasgredire i tabù relativi all'uso di strumenti musicali. Di norma, nella regione di Orano—e nel Maghreb in generale— alle donne è permesso di utilizzare solo percussioni e dati strumenti a corda. Ma le cantanti di Raï usano a volte i flauti, considerati strumento maschile per eccellenza.

Infine i testi delle canzoni delle chikhat sono di un tipo che qualunque altra donna non potrebbe pronunciare in pubblico, soprattutto davanti a un pubblico maschile. Vedremo che, come gli uomini, esse cantano l'amore, compreso quello fisico, l'adulterio, e persino il sesso occasionale; cantano i piaceri dell'alcool e delle feste miste. Questi temi si intrecciano a lamenti e ad invocazioni religiose, più in sintonia con il registro usuale delle canzoni femminili. La combinazione di sacro e profano, di discorso maschile e femminile, è resa ancora più affascinante dalla loro giustapposizione, senza transizione, nella forma di patchwork testuale. Nella sua trasgressività il canto delle chikhat riunisce così le aspirazioni più femministe, ed esprime, attraverso il ribaltamento di gerarchie e protocolli sessuali, il desiderio che le donne provano nei confronti degli uomini — desiderio raramente espresso nella tradizione orale maghrebina. Queste donne sono le inventrici dei blasoni del corpo maschile e dell'erotismo egualitario.


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