1. Aspetti dell'immigrazione algerina in Francia
 

Il Mediterraneo è stato solcato fin dai tempi antichi da pellegrini alla ricerca di santuari e luoghi miracolosi, così come di nuove speranze e mercati per il commercio. Oggi, come ieri, continua il pellegrinaggio, ma in prevalenza coinvolge gli abitanti del sud del Mediterraneo che desiderano raggiungere i moderni santuari della globalizzazione: le grandi città d'Europa. Anche questi pellegrini, come i loro predecessori, portano dentro di sé le speranze di un futuro migliore, spesso impossibile o difficili da realizzare nella loro terra d'origine, dove il più delle volte mancano le ricorse economiche e talvolta hanno luogo guerre fratricide. La musica accompagnava il viaggio dei pellegrini verso i luoghi sacri delle diverse religioni.

Un'audiocassetta di Chaba Kheira
Oggi la musica accompagna il difficile viaggio verso nuove speranze. Gli immigrati normalmente non hanno molto negli zaini ma le cassette di musica provenienti dalla loro terra sono parte immancabile del loro bagaglio. 

La musica rappresenta per gli immigrati un legame profondo e forte con la propria terra e ha sempre seguito l'immigrazione caratterizzandosi, talvolta, come una vera e propria colonna sonora (Gilroy 1997: 300-348). Essa è dunque uno strumento d'identità, di legame emotivo con i luoghi d’origini, un simbolo di un possibile ritorno. Inoltre, come suggerirò in questo articolo, la musica può essere usata per esprimere nuove identità che sono il frutto dell'immigrazione stessa.  L'immigrazione maghrebina verso la Francia e la sua capitale, Parigi, è uno dei più importanti e continui flussi migratori che abbiano mai attraversato il Mediterraneo. Molti algerini – dal tempo della colonizzazione ad oggi – hanno raggiunto la terra della 'liberté, fraternité, égalité' più o meno volontariamente (Liauzu 1996).

Essi si sono trovati costretti a partecipare alla storia della Francia, alla sua economia e anche alle sue guerre. In questo modo ben presto incominciarono a svilupparsi a Parigi dei quartieri a maggioranza algerina. Il più famoso era, e ancora rimane, Barbès (18éme arrondissement) 


Il quartiere di Barbès

Questa immigrazione – talvolta durante le guerre la potremmo definire in alcuni casi deportazione – coinvolgeva principalmente gli uomini destinati a lavorare nelle fabbriche. Nonostante le rappresaglie e, in alcuni casi, i massacri dei dimostranti (come quello dell'ottobre 1961, quando molti algerini furono uccisi e gettati nella Senna) durante la guerra di liberazione dell'Algeria, molti algerini decisero di restare a Parigi (Liauzu 1996: 126). 

Nel 1975 il governo francese apportò delle modifiche alla legge che regolava l'immigrazione, autorizzando i familiari a raggiungere i loro parenti emigrati in Francia. Le conseguenze furono presto visibili: "Les Maghrébins représentent en 1982 38,5% de la population étrangère, mais c'est moins désormais l'entrée de travailleurs que le regroupement familial qui joue, l'immigration de main-d'œuvre a tendu à devenir une immigration de peuplement" (Liauzu 1996: 122). Le famiglie giunsero anche con i bambini e molti altri nacquero proprio in Francia, dando luogo così a una seconda generazione di algerini francesi. I francesi definiscono questa generazione come 'jeunes issues de l'immigration algérien' o beur. I beur hanno una identità differente, non solo da quella degli algerini immigrati ma anche dai loro coetanei francesi. 

Gli immigrati algerini vivono due differenti aspetti della dislocazione, cioè lo strappo dalla terra natia e l'adattamento ad una cultura straniera; dall'altro lato i loro figli – che sono nati e hanno studiato in Francia – vivono una 'dislocazione' d'identità. I beur sono sospesi tra il retaggio culturale dei loro parenti e la vita quotidiana nella società francese. Dunque, l'identità dei beur si mostra come una identity in process in 'costruzione'. Ho scelto il termine 'sospesi' proprio perché questi giovani non sono completamente accettati né dalla società francese né da quella algerina. 

In Francia, i beur sono considerati alla stregua degli immigrati, anche se spesso possiedono educazione e nazionalità francesi (Khellil 1991: 88-105). Al contrario, in Algeria essi sono considerati come dei francesi, e nei casi peggiori come dei veri e propri 'traditori' della cultura algerina. Così, le esperienze del ritorno in Algeria dei beur (soprattutto delle ragazze)– ad esempio con i genitori per le vacanze – sono talvolta veramente traumatiche. Per esempio, espressioni del tipo 'l'émigré' sono indirizzati ai ragazzi, mentre amjah (perduta) e merula (ragazza dai facili costumi) alle ragazze. Durante le mie ricerche alcuni beur si sono espressi riguardo a questo problema in questo modo: "mi hanno trattato come un immigrato, come un estraneo". Possiamo supporre che molto del risentimento verso i beur sia causato probabilmente dalla gelosia, poiché molti algerini non riescono a lasciare l’Algeria e soffrono una disoccupazione a lungo termine nel loro paese. 

E' facile comprendere come questa realtà ponga i beur in una posizione culturale, sociale, d'identità, assai differente da quelle dei loro genitori, parenti, e in genere degli immigrati di prima generazione. Non a caso essi stessi hanno coniato il termine beur, come un confine linguistico tra loro e gli immigrati, tra il loro background culturale e quello dei francesi. La posizione di questi giovani all'interno della società francese non è certo facile. Spesso essi vivono ai confini della città (la banlieue) non solo in un senso fisico ma anche sociale. Così alcuni beur cadono nella microcriminalità, evadono la scuola, si scontrano con la polizia. Pertanto i giornali e le televisioni hanno dato dei beur un immagine negativa, indicandoli talvolta come uno dei problemi maggiori nelle città francesi, in particolare a Parigi.  Nel 1983 i beur hanno segnalato la loro difficile condizione attraverso manifestazioni organizzate da alcune associazioni antirazziste, la più importante delle quali era SOS Racisme (Jazoulu 1986; Amara 1991).
Logo SOS racisme

Manifestazioni e marce sono riuscite in parte ad attirare per la prima volta l'attenzione dei media verso i problemi dei beur, più che sul problema beur in sé. Si è prodotto così un certo dibattito all'interno della società francese – che è tutt'oggi rilevante – riguardo il suo rapporto con i beur e la loro posizione sociale in Francia (Khellil 1991; La Coste-Durjardin 1992; Bachmann 1992). La politica e i governi hanno seguito attivamente tale dibattito, proponendo differenti teorie, le più importanti delle quali sono la 'politica dell'assimilazione' e la 'politica dell'integrazione' (Khellil 1991: 37-60; Manço 1999: 31-95). Penso che sia importante osservarle brevemente entrambi. 

La caratteristiche principale dell'assimilazione è lo sradicamento delle differenze culturali e quindi la loro scomparsa: la cultura dominante è l'unica riconosciuta. L'assimilazione è tipica del pensiero colonialista; fino e oltre gli anni sessanta fu, in Francia, il modello per le leggi concernenti l’immigrazione. Poiché è stata in seguito fortemente criticata, l'assimilazione è stata sostituita dal modello 'dell'integrazione'. Tale modello si basa su cinque pilastri fondamentali: uguaglianza dei diritti, lotta alla discriminazione, politiche mirate alla compensazione delle ineguaglianze, modi di partecipazioni alla vita civile e politica, accesso alla cittadinanza piena attraverso l'ottenimento della nazionalità. Nonostante ciò, Jacqueline Costa-Lascoux (1999) sottolinea che l'integrazione può essere vista come un'assimilazione più 'soft' (si veda anche Manço 1999). 

Anche se questo dibattito sembra essere principalmente d’interesse per sociologi e politici, in realtà anche gli stessi beur e gli immigrati hanno le loro idee a riguardo (ad esempio, cfr. Charlot 1981). Sovente, come ho indicato, i beur sono ritenuti essi stessi immigrati, senza alcuna differenza nel retaggio culturale rispetto a quest'ultimi. In questo articolo avrò modo di segnalare come questo atteggiamento sia fortemente contestato dai beur insieme alle stesse politiche d'assimilazione ed integrazione. Nella maggior parte dei casi il rifiuto di tali modelli viene esternato da questi giovani in due modi contrapposti di comportamento. Da una parte con il conflitto con la società (compresa la criminalità); dall'altra attraverso l'arte, la musica e il teatro quale strumenti di contestazione socialmente accettati. 

Poiché i beur si ritengono cittadini francesi, ogni politica 'speciale' mirata alla loro assimilazione-integrazione è vissuta come un attitudine razzista nei loro confronti, una esclusione dalla società francese finalizzata alla creazione di una sorta di 'riserva indiana'. Nonostante ciò essi si definiscono come beur-francesi. La parola beur ha qui un senso profondo in quanto vuole essere un simbolo di una differente identità culturale, della cultura-beur (Fahdel 1990: 140-152; Khellil 1991: 71-85, Reynaert 1993: 18). Dunque, del concetto di cultura francese i beur possiedono una visione profondamente differente dalla maggioranza dei francesi. Durante la mia ricerca sul campo qualcuno mi disse "non ho necessità di mangiare maiale o bere alcol per essere francese. Pregare cinque volte al giorno, o parlare arabo non mi impediscono di essere un cittadino francese". 

Per meglio comprendere la complessa realtà dell'immigrazione algerina in Francia (2) è importante tenere in considerazione un altro punto. Abbiamo visto precedentemente che esistono alcuni problemi di relazione tra beur e società francese da un lato, e beur e società algerina dall'altro, ma esistono anche alcune differenze tra beur e immigrati. In particolare vorrei evidenziare in questo articolo ciò che è stato definito il 'mito del ritorno' (Khellil 1991: 21-38; La coste-Dujardin 1992: 97-103). 

Il 'mito del ritorno' è la volontà espressa dall'immigrato di far ritorno definitivamente nella terra natia: il giorno di tale ritorno è però rimandato continuamente. La volontà del ritorno è espressa dall'immigrato sia prima della partenza stessa dalla terra d'origine sia durante tuta la sua vita all'estero, ma in effetti spesso egli non torna indietro sui suoi passi. In realtà, il ritorno è destinato a rimanere solo un mito. Esso diviene allora il soggetto di conversazioni con amici e parenti. Talvolta la data stessa del ritorno è fissata, ma effettivamente mai rispettata. 

Il 'mito del ritorno' è peculiare della generazione immigrata. I beur, per esempio, quando sono in vacanza in Algeria con la parola 'ritorno' non indicano il viaggio verso l’Algeria, ma al contrario essi indicano il viaggio verso la Francia. Ciò si rivela un motivo di incomprensione con i loro genitori. Infatti, alcune ragazze beur vivono nel terrore di un ritorno definitivo in Algeria, poiché sono preoccupate per la possibilità di essere costrette a sposare un uomo algerino e a vivere per sempre in Algeria. In questo senso il 'mito del ritorno' diviene allora 'l'incubo del ritorno' (Lacoste-Dujardin 1992: 100). 


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