7. Terzo quadro: posseduti dalla documentazione

Quando le parole vengono messe per iscritto, diventano fatti sociali, acquistano potere materiale, un potere che influenza le cose, un potere perfino di contagio. Nelle pratiche marocchine di magia, per esempio, delle parole del Corano vengono scritte su piccoli pezzi di carta che sono portati sul corpo come amuleti o messi in un bicchiere d'acqua dove l'inchiostro si dissolve e viene ingerito. Le parole evocano la presenza.

Nel mondo islamico, inoltre, la calligrafia è un'arte molto sviluppata. Nonostante l'arte rappresentativa sia rara, poiché è superbia raffigurare ciò che Dio solo può creare (e naturalmente le immagini sulle pareti forniscono un interessante contrappunto a questa credenza), è stata dedicata attenzione per secoli all'arte della calligrafia (Messick 1993). Ad esempio, vi sono degli esercizi di preghiera sufi che insegnano al credente ad immaginare la parola Dio come se fosse proiettata nella mente. Le lettere stesse sono usate come portali per l'esperienza mistica.

È in questo contesto del potere dello scritto che possiamo leggere il luha di Si Abdullah El-Gourd.

Un luha tecnicamente è un tabellone o lavagna. È il supporto sul quale i bambini scrivono quando stanno memorizzando dei versetti del Corano alla scuola coranica. Un luha è in questo contesto un luogo per la consacrazione di parole sacre.

Quando ho scoperto per la prima volta il luha di Abdullah El-Gourd ho avuto una rivelazione io stessa. Ho assistito a lilat per anni, ho registrato cerimonie lunghe tutta la notte con il mio Marantz, ho ascoltato i miei nastri per ore provando a cogliere l'ordine dell'invocazione agli spiriti, a trascrivere le parole dei canti.


Abdullah mostra il suo luha

Ho intervistato gli Gnawa provando a fare in modo che mi dettassero una lila. Qualche volta siamo partiti bene ma non siamo mai andati lontano. Qui, comunque, al Dar Gnawa c'era un diagramma delle dimensioni di un poster della lila, dall'inizio alla fine, i nomi della miriade di santi e spiriti scritti esplicitamente. Cosa ancora più importante, il m'allam era estremamente chiaro riguardo alla sua tradizione e vocazione. Ebbene, Randy Weston mi aveva detto di andare là fin dalla prima volta che lo avevo incontrato.

UDi solito Abdullah El-Gourd si sveglia dal suo riposo pomeridiano, tira fuori i suoi arnesi da disegnatore - righe, compassi, mascherine - ordina un grande bicchiere di fumante tè alla menta al caffè dall'altro lato della strada e si mette a lavorare sul suo luha. Questo è un diagramma dove Abdullah El-Gourd meticolosamente registra il procedere della lila, dai canti gioiosi cantati prima della cerimonia (l‘ab),fino a quelli per tutti gli spiriti. Vi sono duecentoquarantatre qita’, (tagli o segmenti) nella lila di Tangeri, che, a differenza delle cerimonie Gnawa di altre città, viene eseguita per due giorni e due notti.

Il diagramma è codificato per mezzo dei colori: bianco, verde, nero, rosso, rosa, giallo, viola e arancione. Ogni spirito è associato ad un colore. Vi sono diversi spiriti in ciascun gruppo, e tutti condividono l'incenso bruciato con quel colore. Ciascuno spirito ha il proprio canto, e ciascun colore, o gruppo di spiriti, ha un cibo o una bevanda associata ad esso, qualcosa che viene incorporato nel fisico.

Un luha antico, uno più nuovo, e uno in corso di lavorazione al Dar Gnawa

C'erano tre luha al Dar Gnawa quando sono stata là. Il m'allam stava lavorando ad uno nuovo. Ce n'era uno vecchio del 1980 - a lui non piaceva il suo aspetto estetico - e un luha fatto per metà che era, se ne accorse in fase avanzata di lavoro, troppo corto per i canti degli spiriti neri (ogni gruppo di spiriti ha un colore che li unisce in una classe o famiglia). Così aveva ricominciato. Attorno ai margini del diagramma nel luha vecchio, Abdullah El-Gourd aveva scritto i nomi dei paesi da dove, diceva, gli Gnawa provenivano: Mauritania, Senegal, Gambia, Guinea-Bissau, Uganda, Congo, Kenya, Costa d'Avorio, Zaire, Niger, Sudan, Guinea, Sierra Leone, Malawi, Repubblica Centro Africana, Chad, Nigeria, Burkina Faso. Inserite in un piccolo riquadro nell'angolo inferiore destro, egli aveva scritto le seguenti parole, in inglese:

The Way of the Gnawa
The Ancestor’s Heritage composed and ordered by Dar Gnawa for [its] preservation from dust. Dedicated to all koyatis and Gnawa lovers.

(Il sentiero degli Gnawa. L'eredità dell'antenato composta e ordinata dal Dar Gnawa per preservarla dalla polvere. Dedicata a tutti i koyatis e amanti degli Gnawa).

Si trattava di conservazione culturale, autocosciente, autoproclamata - un modo di possedere il patrimonio e, significativamente, di ordinarlo. Abdullah El-Gourd stava creando un precedente affidando la tradizione orale alla carta e all'inchiostro, cosicché non si sarebbe trasformato in 'polvere' quando i corpi dei suoi portatori non ci sarebbero stati più. Ironicamente e prevedibilmente, i suoi sforzi sono avvenuti nell'epoca in cui il treq lila, letteralmente il percorso o progressione della cerimonia, in patria e all'estero, si sta radicalmente trasformando a causa della sua mercificazione. Consacrando la lila alla scrittura, Abdullah El-Gourd non possiede ciò che lui chiama il 'patrimonio' in misura maggiore di quanto egli venga posseduto dall' atto della documentazione. L'indice che sta creando, molto simile alle 'mappe popolari' che i palestinesi fanno dei villaggi distrutti (Slyomovics 1998:7), fornisce una collocazione simbolica agli Gnawa e alle loro tradizioni. Non è un indice della geografia simbolica e immaginaria di un individuo (Pandolpho 1997), ma di ciò che Abdullah El-Gourd sta attento a presentare come una tradizione regionale. "Questa è la lila di Tangeri", ha ripetuto spesso. Scrivendo, Abdullah El-Gourd sta propiziando lo spirito che desidera catturare la tradizione prima che scompaia con gli ultimi suoi praticanti. Gli Gnawa del giorno d'oggi, questo va ricordato, commercializzano la musica ma sanno poco del contesto rituale dal quale essa nasce. Abdullah El-Gourd invece lo ricorda ancora. La consacrazione di questa memoria alla scrittura crea quel che Nora definisce un lieux de mémoire (spazio della memoria), uno spazio simbolico per l'identità Gnawa (Nora 1989). Ma egli sta anche propiziando lo spirito del capitalismo della razionalità e della modernità, facendo entrare la tradizione in quanto tale in un contesto transnazionale. A cosa serve un indice se non come mezzo per localizzare, definire e classificare? "Mentre la memoria è il materiale grezzo della storia", ci ricorda Slyomovics, "un documento è quel che rimane" (ibid: 18). L'indice è l'oggettivazione di questa memoria. Non sorprende, ad esempio, che con l'aiuto di Si Said e del suo agente europeo, Abdullah abbia creato un sito web per il Dar Gnawa (www.dargnawa.myweb.nl). Le sue preoccupazioni relative al luha sono finalizzate in maniera intricata a dare un ordine e - cosa ancora più importante - un riconoscimento pubblico e ufficiale all'identità culturale degli Gnawa .

Le mie reazioni erano forse prevedibilmente permeate anche dall'inquietudine dell'ultimo momento. Anche io volevo possedere questo luha, possedere i "fatti" che io (e, dovrei ricordare, molti dei colleghi più stretti) avevo provato a "trascrivere" per così tanto tempo. Volevo avanzare una pretesa su quel luha, e sulla cultura Gnawa, in quanto sapevo che non era stata rappresentata o codificata in precedenza. Come si può immaginare, i miei desideri sono stati frustrati.

Né ero sola nel desiderio di possedere questo oggetto. "Vorrei poter avere una copia di quel luha", ha detto il sassofonista dell'Orchestra Reale al m'allam una sera, indicando il diagramma. "Nessuno ne avrà una copia. Nessuna copia." - ha detto il m'allam - "Non è pronto".

Abdullah El-Gourd non avrebbe ceduto una copia di un luha (sebbene ne avesse diversi degli anni precedenti), né mi avrebbe permesso di fotografarlo nella sua interezza. "Non è pronto" - continuava a ripetere - "ma zal," non ancora".(7)

Il luha, effettivamente, non è molto utile per i non iniziati. Si tratta di un indice, un farras in Arabo. Elencando i nomi dei canti, esso funge come strumento mnemonico per quelli che già conoscono le melodie e i testi. Implicito nel concetto di un indice è che esiste una realtà (un testo, una esecuzione, un repertorio) al di fuori dell'indice alla quale esso fedelmente corrisponde. La possibilità di essere indicizzato è inseparabile dall'associazione di riferimento (Silverstein 1976). Ma è anche vero che l'indice (come una rappresentazione) costituisce il suo oggetto (Hall 1997, 1980). E in realtà, Abdullah El-Gourd sta codificando un rituale che, nella pratica fisica, può essere molto più malleabile rispetto a quanto l'indice presupponga. Quel che più conta è che molto spesso i nomi dei canti sono i nomi degli spiriti che si stanno propiziando. In quanto indice di nomi propri, il luha non si presta alla traduzione. Seguendo Derrida (1985), sappiamo che i nomi propri resistono alla traduzione in modo assoluto. Essi sono icone della differenza. Allora, per chi Abdullah El-Gourd ha creato l'indice, e perché?

Padroneggiando la progressione di questi nomi e consacrandoli nella scrittura, Abdullah diviene l'autore della tradizione di Tangeri. Comunque, più conoscevo Abdullah El-Gourd più capivo che egli stesso era posseduto dalla documentazione, praticamente ossessionato dal suo compito di mettere per iscritto il percorso della cerimonia, e protettivo riguardo la conoscenza che egli solo ha trascritto. Ho visto tre luha, ma devono essercene stati degli altri. Nessuno di essi era tecnicamente in mostra, ma era stato messo da parte per fare spazio al nuovo. Il luha attuale era esposto ma soltanto come lavoro in corso. Tuttavia ogni giorno per anni, Abdullah El-Gourd ha lavorato al suo luha alla presenza di visitatori e apprendisti che frequentavano Dar Gnawa. Era una idea fissa.

Dal momento che tutta la musica e le immagini del Dar Gnawa erano accessibili alla mia macchina fotografica e alle mie domande, perché invece questo luha era protetto? Gli anni passati alla Voice of America avevano sensibilizzato Abdullah El-Gourd sul potere dell'informazione? L'atto dello scrivere permeava il luha di uno status speciale? Oppure sono stati i suoi viaggi in Europa e negli Stati Uniti a dargli la consapevolezza delle possibilità di commercializzare la sua conoscenza in una forma che uno straniero potrebbe apprezzare, perfino pagare, o quanto meno pubblicare? Non lo sapevo, ma speravo di scoprirlo. Ho domandato ad Abdullah El-Gourd se gli dispiaceva che lo intervistassi con un registratore e lui ha acconsentito.

Sono arrivata alle quattro in punto il giorno successivo, un'ora prima che Dar Gnawa aprisse le porte al pubblico. Quando sono arrivata, con il registratore Dat in mano, ho trovato Abdullah El-Gourd che aveva già preparato una videocamera e intendeva riprendere la registrazione che stavo per fare con lui.

"Non le dà fastidio, vero, se Si Said fa un video della nostra intervista?" ha domandato. Si Said era l'aiutante in apprendistato del ma'llemam.

Ma kayn mushkil, non c'è problema", ho detto, in modo non del tutto sincero. Ero già nervosa riguardo questa intervista, perché sebbene il m'allam fosse stato sempre educato e disponibile, continuva a parlare con me in un arabo formale, tenendo sempre una distanza professionale. Da parte mia, parlo fluentemente l'arabo marocchino ma sono meno preparata con l'arabo classico. Mi sentivo come se fossi io l'intervistata. D'accordo. Etnografia postmoderna. La cinepresa si rivolge all'antropologo. Mi domandavo come queste immagini sarebbero state utilizzate dopo la mia partenza.

Durante la registrazione della nostra intervista il m'allam ha letto da molte parti del luha, recitandomi i nomi degli spiriti africani, per esempio gli Haussiyin (da Haussa) - Baba Madani, Fulani, Busunana, Malgatu, Mamario - e tutti i qita' del colore blu, Sidi Musa, Mosè, il colore cui Randy Weston rende omaggio in ogni concerto. Ma si è interrotto prima di leggere tutti i duecentoquarantatre titoli. Bizaf, ha detto (è troppo da leggere).

Il fatto che Abdullah El-Gourd volesse fissare la mia intervista con lui su video testimonia della sua consapevolezza dell'importanza del film come mezzo di documentazione. Tuttavia giorno dopo giorno, anno dopo anno, egli scrive attentamente sul suo luha i nomi dei canti per i santi e gli spiriti. Esso è, per lui, una sorta di meditazione alla quale egli ritorna quotidianamente. È anche un modo di approfondire quello che fin'ora ha soltanto vissuto nei recessi della memoria del corpo. Mentre l'uso di una videocamera durante una lila catturerebbe la sequenza, le parole, il procedere della cerimonia, la raffigurazione visiva non ha lo stesso effetto. Le immagini sono come specchi, e noi possiamo passeggiare tra le loro sale in una sorta di sonnambulismo dei sensi. Scrivere, d'altra parte - specialmente l'atto di scrivere a proposito del corpo e degli spiriti che lo abitano - richiede riflessione, ciò che intendevo prima quando parlavo di un "giungere a patti" con la cultura. E, cosa ancor più importante, Abdullah El-Gourd potrebbe essere meno capace di controllare la circolazione di immagini che sono più facili da riprodurre.

Ironicamente, passare il tempo al Dar Gnawa non è un'immersione nel tagnawit nel senso stretto del termine. Circondata da immagini di grandi musicisti jazz, ed anche da fotografie di performance profane (frajat) in Spagna, Francia e Stati Uniti, non si ha la penetrante sensazione di niente che ricordi la "pura" gnawità. Il panorama sonoro è altrettanto differenziato. La musica di interpreti jazz, di africani occidentali, di latini e altri, riempie lo spazio, entrando nel corpo attraverso le vibrazioni create dagli alti decibel. Potremmo dire che Abdullah El-Gourd sia abitato dagli spiriti degli antenati del jazz proprio come Randy Weston è abitato dagli spiriti degli antenati africani. Di certo, quando ho domandato a Abdullah El-Gourd se la sua propria musica - la musica del suo repertorio non rituale - fosse influenzata dal suo incontro con il jazz, la sua risposta è stata immediatamente affermativa. Lo stesso è vero per Randy Weston (che fa pellegrinaggi regolari in Marocco), la cui carriera e percorso di vita sono cambiati definitivamente a causa dei suoi incontri e dei suoi soggiorni.

Al Dar Gnawa ci si preoccupa poco della perdita culturale a livello di immagine e suono. La storia ivi illustrata è una storia internazionale - non soltanto pan-africana, va al di là dello stretto in Andalusia e Spagna, e attraverso l'Atlantico a Brooklyn. Qui non c'è protezionismo. Gli influssi storici sono fluidi. Come gli jnun, gli spiriti nelle cerimonie, essi provengono da differenti parti del globo, da differenti periodi del tempo e regioni diverse. Alcuni, come Sidi Musa o Mosè, da levante; altri, come Sidi Bilal, dall'Africa, altri ancora come Abdulqadr Jilani, dall'Iraq. E quindi Thelonius Monk, nato nel North Carolina ma cresciuto a New York, Lester Young, Dexter Gordon, e altri ancora. Abitando i corpi di coloro che possiedono, questi spiriti danzano e cantano la storia nel presente. Per gli Gnawa non c'è pericolo che gli spiriti vadano persi. Essi semplicemente SONO. La loro incarnazione è sempre variata - Sidi Musa può possedere una giovane marocchina o un compositore africano di jazz nato in America. Anche le immagini, quindi, le rappresentazioni degli spiriti, cambieranno sempre. Le fotografie sono simboli di spiriti-antenati. Poiché di fatto gli spiriti non possono mai essere rappresentati, Abdullah è comunque libero di metter in atto una sostituzione infinita. Seguendo Roland Barthes si può sostenere che egli sia aiutato dal mezzo stesso della fotografia, la quale, essendo invisibile - noi vediamo l'immagine attraverso il fotografo - indica sempre il referente, "ripetendo meccanicamente ciò che non potrebbe mai essere ripetuto esistenzialmente". (1980:15).

Questo è altrettanto vero per il suono. Esso proviene da ciascun musicista in modo differente. Non esiste un modo giusto di suonare.

Se non esiste una cultura musicale praticata, la tradizione muore. Abdullah El-Gourd lo sa, e per questo egli ha virtualmente creato una scuola per l'istruzione e la pratica della musica tradizionale Gnawa. Dopo aver lavorato al suo luha, prende sempre il suo ginbri per eseguire con altri solamente canti Gnawa , benché insieme ad essi ascolti musica registrata di tutto il mondo. Il luha - come rappresentazione del razionale, del letterato e del moderno - diventa tuttavia l'oggetto da tenere lontano dalla circolazione nel mercato culturale. Esso ha, per Abdullah, grande valore come elemento di un capitale simbolico. Dedicato ai koyatis, i danzatori o apprendisti Gnawa , e a tutti coloro che amano la cultura - la registrazione scritta del luha esiste per salvare dalla polvere quello che egli chiama (in inglese si direbbe definisce) l''Eredità degli antenati'. Non è la memoria degli antenati quella che egli sta conservando con il luha, perché loro sono perennemente ricordati nelle danze e nei canti, nei corpi e nel respiro degli Gnawa ; è piuttosto la tradizione che essi hanno tramandato ad essere conservata, una particolare pratica di Tangeri che egli intende salvare codificandola per iscritto. Dato che è il solo a consegnare tale conoscenza allo scritto, Abdullah si pone in una relazione privilegiata con questa genealogia di antenati. Egli è sia un conoscitore della tradizione Gnawa così come essa viene praticata a livello nazionale sia un custode della sua specifica tradizione. Il treq lila, il cammino della cerimonia come Abdullah El-Gourd lo ha imparato, sta cambiando rapidamente. In altre città, interi colori sono stati cancellati dalla lila e si fa completamente a meno di parti del rituale un tempo considerate fondamentali. Il luha di Abdullah El-Gourd è un memoriale connesso con un modo specificamente locale di onorare gli spiriti. Liberati dal corpo e consacrati al luha, gli spiriti sembrerebbero abitare un nuovo mezzo fatto di inchiostro e Abdullah El-Gourd arriverebbe a possedere la tradizione. Ma questo atto di paternità segna la morte dello spirito?


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